Sud Sudan. Tra stupri di massa, guerra e accordi di pace
Centinaia
di donne e bambine stuprate sistematicamente da uomini armati
nella zona di Bentiu, in Sud Sudan, dove dal 2013 è in corso
una sanguinosa guerra civile che va avanti tra accordi di pace finora
sempre sistematicamente violati.
Un
comunicato dell’organizzazione Medici Senza Frontiere (MSF), diffuso il 30
novembre scorso, ha scosso l’opinione pubblica sud-sudanese e
internazionale e reso nuovamente di attualità il problema
della violenza sessuale usata come arma di guerra.
In
soli 10 giorni il
personale di MSF, nella città di Bentiu
nel nord del Sud Sudan, aveva assistito 125 donne
che erano state violentate da uomini armati in una zona a
pochi km di distanza.
Gli
aggressori, in abiti civili e militari, non avevano risparmiato bambine al di sotto dei dieci anni
e persone anziane e, oltre a stuprare, avevano percosso e derubato le
vittime dei loro pochi averi.
Bentiu Già capitale dello stato sudanese dell’Unita, situata sulle rive del fiume Bahr al-Ghazal (fiume delle gazzelle) in un territorio petrolifero, dal 2011 Bentiu fa parte del territorio del Sud Sudan indipendente. L’accordo di pace raggiunto il 12 settembre 2018 dai due contendenti, il presidente Salva Kiir di etnia dinka e l’ex vicepresidente Riek Machar di etnia nuer, con la mediazione di Sudan e Uganda, non è granché convincente. Per esempio, l’accordo non dice nulla sul numero degli stati della confederazione sud-sudanese, che sono passati da 10 a 32 con decreti governativi durante la guerra civile. Una suddivisione su base etnica che consolida il controllo delle risorse da parte dell’etnia dinka. |
La
violenza di genere e lo stupro sono una raccapricciante
costante nella guerra civile iniziata nel 2013 e di fatto ancora in
atto in Sud Sudan. Ma i recenti eventi di Bentiu, dopo la firma di una
fragile pace lo scorso settembre, hanno colpito per il numero elevato
di vittime in un’area specifica e in uno spazio di tempo
limitato. L’azione
è parsa essere come un atto sistematico e pianificato che ha inferto ulteriore
sofferenza e smarrimento a popolazioni già duramente provate
dal conflitto.
Centinaia
di donne sono state aggredite mentre si recavano in città in
cerca di cibo,
e a nulla sono valsi i tentativi di mariti e familiari di difenderle.
Di fronte a una
forte reazione dei media, che questa volta
c’è stata, il governo ha nominato una prima
commissione d’inchiesta ma ha concluso i lavori in modo
insoddisfacente, tentando persino di dichiarare inesistenti i fatti
anche di fronte alla denuncia di organizzazioni umanitarie e a una
indiretta conferma della rappresentanza delle Nazioni Unite nell'area.
Il presidente è stato dunque costretto a richiedere una
seconda inchiesta.
C’è
da sperare che almeno questa volta la giustizia faccia il suo corso e
che gli autori di questa violenza di massa e i loro mandanti siano
chiamati a rendere conto di un crimine che allontana la
possibilità di stabilizzare il paese (sebbene
ufficialmente una pace sia stata firmata).
Aldilà
delle possibili motivazioni politiche e degli scopi intimidatori
dell’atto in un’area divisa in fazioni etniche,
rimane il fatto che nelle vittime di Bentiu è stato
intenzionalmente colpito chi è fisicamente più
debole e non può difendersi, cioè donne e bambine
di fronte a gruppi di uomini armati.
In
aree di guerra la violenza sessuale è moneta corrente da
centinaia di anni,
come storicamente documentato. È un modo per umiliare
“il nemico”.
Questo episodio di
stupro di massa è inserito in un quadro più ampio,
che è quello della logica del più forte
fisicamente, e come problema che non riguarda solo paesi in guerra ma
anche società apparentemente pacifiche.
Senz'altro
va intensificata l’opera di prevenzione ed educazione. Forse
il punto è credere e lavorare di più non solo per
la parità di genere, ma per la realizzazione
dell’armonia nella relazione fra uomo e donna.