Le Strade del Sesso. Mafia nigeriana a Bari e dintorni, schiave in vendita sulla provinciale 231
Le
più impaurite sono le donne di colore. Scappano a piedi nudi
in mezzo alla campagna o reagiscono lanciandoci contro sassi e
ciabatte. In tante non hanno il permesso di soggiorno. Sono sfruttate,
non ci sono dubbi, e gli sfruttatori sono nei paraggi.
Gli ex-volontari di Volti d'Ebano, l'unità di strada che operava a Bitonto, Clementina Chirico e Antonio Maffei, spiegano, assieme agli operatori di Oasi 2 e ad un ex vittima di tratta, come funziona il racket nigeriano.
Maris Davis Joseph
Reportage
sulla tratta della prostituzione che dall'Africa porta sulle nostre
strade decine di migliaia di giovani schiave.
Quando
il sole cala sull'Adriatica, l’amore profuma di
sudore e kleenex sporchi. La superstrada dell’amore non
è un paradiso del sesso a buon mercato, somiglia piuttosto
alla commedia dantesca, tra il Purgatorio di anime in pena, in cerca di
uno sguardo al cielo, e l’inferno di chi, l’amore,
è costretto a venderlo.
Se
ne accorgono tutti. I clienti, nel senso di vergogna che li
accompagna mentre tornano a casa, le giovani donne costrette a passare
la notte occupando una sudicia piazzola, illuminate da una processione
di fari accecanti come quei sogni abbandonati una volta arrivate in
Italia.
Il
mercato del sesso nell'hinterland barese parla la lingua sottile e
seducente delle donne dell’est Europa, l’inglese
consumato, o il pidgin di Benin City delle nigeriane. Da dieci anni a
questa parte sono loro a monopolizzare le statali e le provinciali che
si avviluppano attorno a Bitonto e Bari.
Secondo
l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni circa
l’80% delle migranti nigeriane arrivate via mare in questi
anni è probabile vittima di tratta destinata allo
sfruttamento sessuale in Italia e in altri paesi dell’Unione
Europea. Terre
des Hommes dà in costante crescita il numero di
giovani donne nigeriane che raggiungono l’Italia, erano circa
5mila nel 2015, passate a 11mila
nel 2016, 9mila nel 2017,
come i minori non accompagnati, in larga parte di sesso femminile,
passati da 900 a 3040.
Un
esercito di schiave che ha occupato la provinciale 231, che
collega il nord barese al capoluogo, la vecchia 96, la litoranea San
Giorgio, Stanic e l’area circostante lo Stadio “San
Nicola”, un tempo circondario della prostituzione
omosessuale e dell’Est, oggi territorio di nigeriane, spesso
minorenni, un segno evidente che in questi luoghi la mafia nigeriana ha
preso piede.
Diffidenza
e paura
Avvicinare
queste ragazze è pressoché impossibile.
Le barriere linguistiche, la logorante routine della contrattazione,
l’oscura colpa di essere scure come l’ebano in un
paese di "muzungu" (chi
non ha la pelle color ebano, ovvero uomo bianco)
trasformano le giovani nigeriane in professioniste senza volto.
A
raschiare il forte strato di diffidenza sono le due unità di
strada del territorio, “Micaela Onlus”,
di Adelfia, e Comunità
Oasi2San Francesco, di Trani.
Le due realtà, che offrono servizi di assistenza e
accompagnamento alle donne su strada, pattugliano di giorno
l’ex 98 e di sera, le periferie baresi. È grazie
al loro silenzioso lavoro che giornalisti, inquirenti e istituzioni
sono riusciti a conoscere la tratta, almeno nella sua tipologia di "prostituzione
su strada"
Nel
dedalo delle “complanari del piacere”,
le "sex worker" non possono
incontrare nessuno che non sia un cliente, non parlerebbero per paura
di ritorsioni, è già difficile per gli operatori
del volontariato che devono costruire con loro un difficile rapporto di
fiducia. In tutti i viaggi delle unità di strada, si passano
decine di tazze di tè, condom mono-uso, coperte, vestiti.
Le
piccole “bugie” dei volontari
alla ricerca di una storia, di sapere, dall'altra delle ragazze che
mentono costantemente sul nome, sull'età, sulla loro
provenienza nella speranza che un giorno possano uscire da una storia
che le rende schiave.
Tutte
le “Joy”, “Destiny”,
“Glory” che ho incontrato
durante la mia attività di "mediatrice culturale"
condividono le stesse vicende. Che iniziano a Benin City o, a
volte, a Lagos. Qui, nonostante il fermento culturale della primavera
africana, la Nollywood che inizia a diventare politicamente impegnata,
c’è una generazione sulla cui pelle continua a
prosperare un colonialismo trasformato, ma ugualmente violento. Sono le
ragazze nere dei villaggi e delle bidonville la merce ambita dai
capitalisti del sesso. Belle, bellissime, già pronte alla
vita da grandi a dodici anni. Ogni giorno centinaia di uomini, gli
Italos, cercano ragazze da immettere nel mercato italiano grazie ai
contatti di una rete che unisce la Nigeria alle complanari di Puglia,
Sicilia, Marche, Piemonte, Veneto, quasi tutta l'Italia.
Il
sogno di una vita migliore
Dalla
loro c’è la povertà che ammazza i sogni
nelle bidonville della periferia di Benin City, o di Lagos,
la voglia di occidente di migliaia di teenager, molte, moltissime
famiglie, più o meno costrette a considerare le proprie
figlie come moneta di scambio per la sopravvivenza. È in
mezzo alle crepe di uno stato sociale inesistente che gli aguzzini
della tratta agiscono, sapendo di poter contare su una
complicità culturale che parte spesso dalle chiese
evangeliche, o pentecostali, rette da pastori-gangster, molto spesso
sono proprio loro gli oba, gli intermediari.
"Want
to go abroad ??" (Vuoi
andare all'estero).
È la domanda che i connection man rivolgono ad ogni ragazza
di bell'aspetto che non può permettersi il visto.
Così le ragazze vengono finiscono nelle trame della tratta,
e a volte il loro "apprendistato" inizia
già sulle strade turistiche delle grandi città
che si trovano lungo la rotta verso la Libia, verso l'Italia.
Una ragazza nigeriana sulla SP 231, a ridosso di Corato |
Strada provinciale 231, tratto tra Ruvo di Puglia e Terlizzi |
Bari, parcheggio dello Stadio San Nicola |
Lo
juju
Prima
di partire, con la promessa di un lavoro da parrucchiera o da
commessa, le giovani si sottopongono ad un rito woodoo. Nonostante le
comunità Yoruba e Igbo siano a maggioranza cristiana, le
credenze tribali sono ancora prepotentemente diffuse negli strati
più deboli della comunità. In Nigeria, con il
woodoo, malattie, sfortuna e disgrazie vengono allontanate con
sacrifici ed offerte. Nell'area del Benin esistono addirittura scuole
private riconosciute dallo Stato, dove centinaia di bambini vengono
istruiti alle pratiche religiose. È naturale quindi che una
partenza venga salutata e benedetta dalle divinità.
Nel
caso delle ragazze, però, i sacerdoti
modellano il rituale sciamanico, che viene svolto mescolando
sangue mestruale, peli pubici e parti di animale, e servirà
a garantire il pagamento del debito contratto con i mediatori, che si
occuperanno del viaggio.
Lo
scorso marzo l'Oba di Benin City
(ovvero
Re Ewuare II),
massima autorità della religione animista della Nigeria, ha
emanato un pronunciamento contro la tratta, e ha costretto
gli sciamani, ovvero i sacerdoti della religione tradizionale, a
revocare la maledizione dei riti “juju”
cui vengono sottoposte le giovani ragazze prima di iniziare il
“viaggio” verso
l’Europa. Ma
di tutto ciò i trafficanti di uomini se ne fregano
e questi rituali vengono comunque eseguiti. La religione non c'entra,
c'entra invece il business, e sciamani, pseudo-sciamani corrotti lo
eseguono ancora. Quello che conta davvero è intrappolare la
ragazza, renderla fragile, sottomessa, ubbidiente, metterle paura.
Il
debito da pagare per il viaggio
Le
nigeriane però non sanno
che, una volta arrivate in Europa la somma da saldare non
ammonterà più a poco più di mille euro
come era stato fatto credere in Nigeria (in
Nigeria uno stipendio si aggira sui duecento euro),
ma arriva ad essere moltiplicato per dieci, cento
volte. Al loro arrivo negli hub italiani del sesso, le grandi
città del Nord, come Torino, e i centri di accoglienza, una
ragazza può arrivare a maturare un debito di oltre 90mila
euro.
Così,
terminato l’esodo verso il Vecchio Continente, il
woodoo diventa la minaccia su cui regge il giogo che costringe le
ragazze nigeriane. Sono tantissimi i casi di giovani
prostitute riuscite a fuggire dagli aguzzini grazie all'aiuto fornito
da associazioni di volontariato, ma poi tornate dopo pochissime
settimane su strada, perché letteralmente terrorizzate dalle
conseguenze dell’aver infranto il patto siglato col sangue in
patria.
A
Benin City ci sono templi improvvisaticon centinaia di piccoli
altarini realizzati con foto e oggetti appartenenti alle giovani andate
in Europa e sottoposte al woodoo. Un ricatto carico di
misticismo quasi impossibile da spezzare anche se l’Oba
di Benin City, Ewuare II, ha
liberato queste ragazze dal giuramento del rito juju. Eppure
basta farsi un giro per complanari e provinciali per realizzare che
nemmeno la prima e dura presa di posizione del re-sacerdote nigeriano
è servita a qualcosa.
Le
mamam
“Glory”
ci guarda timidamente. Indossa un cappellino di lana e dei leggins. Sta
per piovere. Non ha tanta voglia di parlare. Poco più avanti
una donna avanti con l’età ci osserva.
È la mamam.
Una
volta diventate troppe vecchie per esercitare, saldato il debito,
incattivite dagli anni passati per strada ad inseguire i capricci dei
clienti, tante nigeriane scelgono di restare nel giro della
prostituzione, diventando esse stesse "mamam"
che controllano le più giovani. Si tratta di donne arrivate
giovanissime in Italia, senza la possibilità di accedere a
istruzione e corsi di formazione professionale. Un esercito di
quaranta-cinquantenni senza qualifiche, che conoscono solamente le
regole dure della strada. A Bari ce ne sono diverse decine.
Donne nigeriane che NON
hanno una coscienza,
il loro motto giustificativo: "è
giusto che anche loro passino ciò che è capitato
a me",
insomma occhio per occhio, quello che conta è il business, "fin'ora
ho sempre pagato, è arrivato il momento che anch'io diventi
ricca"
Gestiscono
le case in affitto dove vengono ospitate anche da sei-otto
ragazze, esigono la quota mensile di debito, regolano
la vita privata delle ragazze, si occupano del loro
stato di salute. Una donna nigeriana che presta servizio con
una unità di strada ci ha raccontato di una giovane
costretta dalla sua mamam ad abortire e a gettare il feto nella
spazzatura. E per far abortire una ragazza che rimane incinta di
clienti si va dalle percosse agli impacchi di prezzemolo, vengono usati
attrezzi rudimentali, improvvisati. Non importa il dolore, bisogna
lavorare. Per saldare il debito, per continuare a guadagnare.
Strada provinciale 231, tratto tra Ruvo di Puglia e Terlizzi |
Bari, zona Santa Caterina |
Bari, complanare Statale 16, nei pressi di Torre a Mare |
Le
confraternite della Mafia Nigeriana
Spesso
capita che le mamam siano legate sentimentalmente ad alcuni esponenti
delle cellule criminali nigeriane. I
cultist, i cultisti della mafia nigeriana, divisa
nelle numerose confraternite, “Black Axe”,
“Eye”, sono molto radicati in
Piemonte, Campania e Sicilia. A Bari, nelle carte
delle diverse inchieste condotte da Procura e DDA, il loro nome non compare.
Eppure chi è riuscito ad uscire dalla tratta non ha dubbi,
la mafia nera è arrivata da diverso tempo in Puglia e
affianca ormai sodalizi criminali stranieri radicati da decenni, come
quelli albanesi e rumeni.
Sono
gli affiliati delle confraternite a controllare il racket,
coperti da piccole attività commerciali o semplici Money
Transfert, grazie, quasi certamente, ad accordi con la mala locale. Da Bari e da Foggia, la
cellula nigeriana può controllare migliaia di ragazze su
strada, nonché il traffico di droga all'interno
dei ghetti di Rignano Garganico e Borgo Mezzanone, come ha denunciato
il sociologo Leo Palmisano in un articolo sul Corriere del Mezzogiorno,
che gli è valso, nelle scorse settimane, pesante minacce
anonime sui social.
Stadio
San Nicola
Dalle
luci della grandeur barese di Poggiofranco, a bordo di un
furgoncino carico di vivande e preservativi, si arriva alla
periferia barese. È buio quando arriviamo
nell'area dello Stadio. Le luci del San Nicola sono ancora calde, ma
nei parcheggi è calata la nebbia. È qui, a pochi
metri da un viadotto che si apre il girone del sesso a pagamento.
La
grande area progettata da Renzo Piano è il cuore della
prostituzione barese. Qui accorrono centinaia di clienti
terminato l’orario d’ufficio, da qui si diramano le
provinciali interessate dal racket. Agli inizi del 2018, il San Nicola
è finito sulle cronache nazionali per alcuni casi di minori
di etnia rom costretti a prostituirsi. L’indignazione
generale e i riflettori nazionali si sono presto spenti, senza
interessare le decine di nigeriane che ogni giorno prestano servizio
nei parcheggi della struttura.
Anche
loro, soprattutto loro, nella terra dei muzungu (uomini
bianchi)
sono invisibili. Sino a quando un’auto
accosta e abbassa i finestrini. “Ciao, amore”. In
questo saluto, che precede ogni contrattazione, risiede la cifra
dell’esistenza su strada. È il capitalismo dei
corpi, costretti a sbracciarsi, a danzare, a inseguirsi per per
strappare uno scampolo di esistenza, riconosciuta da un pugno di
clienti in quel breve lasso di tempo tra la prestazione e il pagamento.
Gli ex-volontari di Volti d'Ebano, l'unità di strada che operava a Bitonto, Clementina Chirico e Antonio Maffei, spiegano, assieme agli operatori di Oasi 2 e ad un ex vittima di tratta, come funziona il racket nigeriano.
Le
ragazze dei postriboli si presentano pressoché nude,
in ridicole e retoriche vesti fluo che lasciano scoperti gambe e seni.
I loro corpi appaiono provati, gusci paradossalmente privati di
qualsiasi carica erotica. Ad ogni svincolo, sotto ogni insegna, sotto
ogni lampione, sembra di trovare un’antica statua scolpita
nell'ebano più nero, smussata dal tempo, che sulle statali
scorre più velocemente.
Le
"awoulaba"
(parola
che si può tradurre come pesciolini in attesa di essere
pescati)
sono piene di cicatrici, segni tondi di sigarette spente sulle braccia,
sulle gambe, sui seni, raschi, escoriazioni che trasformano i loro
corpi in copie sbiadite delle patinate e giunoniche starlette black. I
segni evidenti di violenze e soprusi da parte di mamam e boys pronti a
picchiare chi sgarra.
Nell'Africa
nera, e in particolare in Nigeria, la
bellezza ha il peso di un fondo-schiena imponente. La
chiamata al sesso arriva da rotondità importanti, ben
distanti dalla bellezza spigolosa europea. Ma il colonialismo passa
anche per il corpo e le african beauty sono oggi molto richieste. Su
strada vince il "nigerian first"
“Ciao
amore”
Di
frasi così se ne sente poche. Prima che presidi
sanitari e assistenziali, le unità di strada
rappresentano per molte ragazze un prezioso spazio di dialogo.
Appena gli operatori scendono dal furgoncino, “Angela”
chiude la zip del piumino, sino ad allora aperto a mostrare seni fieri.
Fa freddo e qualche minuto in più di calore sono una
benedizione. È giovanissima, nonostante il suo corpo sembra
conoscere la strada da molto tempo. Guida un gruppo di tre ragazze, tra
cui, forse, una minorenne, esile, con berretto di lana e sneakers,
rimasta ricurva sullo smartphone durante tutta la durata del “contatto”
Quella
lì è la loro postazione abituale
e lo si capisce dall'erba pestata, dai rifiuti bagnati e da una sudicia
betoniera in cui è stato acceso un falò. Qualche
metro più avanti la strada non è più
illuminata: è il posto ideale per nascondersi in auto e
viene difeso con prepotenza dalle quattro, disposte a presidio attorno
al fuoco. “Angela”
è l’unica a parlare, le altre preferiscono
continuare a chiacchierare tra loro sorseggiando il latte caldo offerto
e toccandosi le kinky
twist
(gesto
per sistemare il reggiseno)
“Fa
freddo, poche ragazze oggi, nemmeno i travestiti” ci dice Angela,
indicando con l’unica mano libera piazzole deserte in
lontananza. Sperano di guadagnare qualche extra ed è forse
per questo che dopo qualche minuto prova a troncare la conversazione,
rivolgendo lo sguardo oltre, in cerca di qualche macchina in arrivo.
Appena ci allontaniamo, arriva una monovolume. Salgono in due, compresa
la più giovane, costretta a staccarsi dal suo smartphone.
Accecati
dai neon del “Parco dell’Amore”,
ci si rende conto che la serata non è delle migliori. Lo
capiscono anche gli operatori incrociando i dati registrati sulle
cartelline. Solitamente in tutta Bari, di sera, è possibile
incontrare tra le trenta e le quaranta nigeriane. Numeri che
raddoppiano se sommati a quelli della mattina, quando il mercato della
prostituzione si sposta sulle provinciali interne. Guidare per una Bari
deserta aiuta comunque a capire alcune delle regole che vigono su
strada.
Se
a San Nicola (zona stadio), le
nigeriane dividono l’asfalto con transgender e omosessuali,
nel resto del
capoluogo la concorrenza è rappresentata dalle donne
dell’Est. Rumene, albanesi, bulgare, in alcuni
casi polacche, vittime di una tratta, una tratta diversa ma allo stesso
modo selvaggia, che nasce molto tempo fa, all'indomani del crollo del
muro di Berlino. Come nel settore agricolo, la ricerca di manodopera (sessuale)
a basso costo ha prodotto una guerra tra poveri e schiavizzati. Il
Terzo Mondo europeo contro il Terzo Mondo che tutti immaginiamo, quello
africano. È così per la raccolta dei pomodori,
è così per il sesso a pagamento.
Nigeriane
e donne dell’ex blocco sovieticosono i due poli su cui
è costruito il mercato globalizzato delle prestazioni
sessuali non solo a Bari. Si guardano in cagnesco, non
perdono occasioni per sputare veleno tra di loro. Soprattutto con i
clienti. Ma la naturale tensione fa bene al libero mercato. E le
organizzazioni criminali che gestiscono dall'alto il racket, da buoni
capitalisti lo sanno.
Rione
Stanic
In
auto la geografia carnale si mostra chiara. Salvo qualche
eccezione nei pressi di alcune aziende, la Stanic è
territorio delle rumene, come il tratto Sud del lungomare.
Le
complanari della 16,
invece, sono
egemonizzate dalle sorelle nere,
le
nigeriane.
A Santa Caterina, dove di sera i lustrini sostituiscono le luci di un
imponente centro commerciale, le nigeriane hanno conquistato due
rotatorie, relegando ai margini di una strada le due ragazze rumene (probabilmente
di etnia rom)
rimaste.
Le
rotatorie sono la vetrina della strada. Ambite, desiderate,
pagate carissime. Per questo qui i profitti vanno massimizzati. Freddo,
pioggia, caldo, non fa nessuna differenza: le ragazze
stazionano quasi completamente nude dalla vita in giù,
pronte alla
passerella di auto che girano per due, tre, quattro volte.
A
Santa Caterina, in uno slargo che conduce verso Bitritto, una
giovane ragazza di colore indossa una parrucca bionda, un
perizoma e dei collant, il volto nascosto da un make up pesante con
l’obiettivo di schiarire i pigmenti della pelle. È
una maschera indifferente quando i volontari
dell’unità di strada le consegnano un bigliettino
con il numero dell’associazione.
Il rione Stanicera
una borgata sorta attorno un grande complesso industriale che oggi non
c’è più. La Bari operaia ormai
è un ricordo sbiadito, che ha lasciato spazio al degrado e
all'incuria. Chi viene da Nord, è accolto dal calore delle
numerose rumene in attesa ai lati della strada. “Destiny” sembra
lì quasi per errore. Seduta e oscurata dal monumentale ponte
Adriatico è l’unica ad indossare un piumino e dei
pantaloni. Ha varcato da molto la soglia dei trent'anni, parla un
italiano fluente e ci racconta del suo passato da badante, in Sardegna.
“Ho perso i miei datori di lavoro, un
po' la crisi, così ho raggiunto delle amiche a Bari e sono
finita su strada per necessità”. Deve fare a
gara con la forza e le forme delle più giovani, ma lei siede
stoica nel traffico caotico. Non le è mai passato per la
testa di diventare mamam. “Che Dio vi
benedica”
Bari
Sud
Sulle
complanari di Bari Sud sono parcheggiate le più giovani,
tra di loro
moltissime sono sicuramente minorenni. Le ultime
arrivate. Sono quelle più ricercate,
perciò il racket della prostituzione nigeriana per loro ha
studiato un posizionamento strategico, lontano dalle arterie presidiate
dalle forze dell’ordine, facile da controllare (a
differenza delle altre zone, si avverte la presenza di un controllo
costante della malavita), in grado di sopportare un afflusso
enorme di clienti. Le ragazze nigeriane hanno le treccine e si radunano
in grossi e chiassosi gruppi. Impossibile avvicinarle e avere un
“contatto” soddisfacente.
Salutano con strafottenza,
ritirano condom e salutano. “È
una sorta di meccanismo di autodifesa, con l’esuberanza di
gruppo provano a nascondere le loro fragilità”. Molte di loro
hanno attraversato il deserto, sono state le schiave sessuali dei
carcerieri dei centri di detenzione libici, hanno tagliato il
Mediterraneo a bordo di un barcone. L’arroganza
è uno dei modi per restare aggrappate a se stesse.
Svincolo nei pressi di Andria |
Bari, rione Stanic |
Strada provinciale 231 |
La
Provinciale 231
Il
supermarket del sesso chiude per poche ore. All’alba le
ragazze si spostano dalla città sulle provinciali interne,
quelle che collegano Bari a Bitonto, Terlizzi, Corato, Palo del Colle,
Altamura. Salgono sugli stessi treni, sugli stessi bus che trasportano
studenti e pendolari. Li aspetta la 231,
l’ex 98, che va presidiata prima che agricoltori e operai si
rechino al lavoro. Spesso sono proprio loro ad accompagnare le giovani
donne alle uscite della provinciale, in cambio di una fugace
prestazione, di un pompino, di una sveltina.
L’unità
di strada di Oasi2 da Trani arriva a coprire la 231 da Corato a Bitonto.
Da Ruvo sino a
Bitonto la strada è occupata quasi esclusivamente da
nigeriane, in ogni piazzola, ad ogni curva c’è una
giovane di colore. Giunoniche, fragili, svestite. Alcune
abbozzano una danza con il fondoschiena. Ci sono poche donne
dell’Est e l’unica concorrenza è
rappresentata dalle trentenni colombiane che occupano i bungalow e le
roulotte parcheggiate a ridosso dei campi di ulivi.
La
231, dorsale dell’economia agricola del nord
barese, è
la “Domiziana” di Bari,
un harem a buon mercato che attrae consumatori di ogni tipo,
dal contadino
allo studente. Il numero enorme di clienti che affollano
le corsie, sino al tramonto, testimonia la "massificazione"
del sesso a pagamento posta in essere dalle organizzazioni criminali
con la tratta delle nigeriane.
Le
ragazze sono costrette ad avere anche più di dieci rapporti
al giorno
Dai 30 ai 10 euro (a volte anche solo 5 euro) per ogni prestazione, e
soprattutto, sono disposte ad offrirsi senza protezione. “Le
nere possono fare di tutto” racconta un
ragazzo travestito che occupa una piazzola nei pressi di Ruvo. Il
racket nigeriano funziona perché offre un “prodotto”
accessibile a tutti, in qualsiasi momento, in grado di soddisfare
qualsiasi esigenza, a poco prezzo.
Le
conseguenze di questo plusvalore sono terribili. Le ragazze sono
costrette a lavorare tutti i giorni della settimana, anche per dodici
ore. Lavorano di meno solo la domenica, giorno sacro per
le nigeriane pentecostali, che si riuniscono nei capannoni adibiti a
chiese dai pastori di Bari. Tutte si prostituiscono anche
durante il periodo mestruale, ricorrendo ai metodi
più variegati (e pericolosi):
c’è chi tampona la vagina con
dell’ovatta, chi con uno straccio. Come detto, persino le
gravidanze sono risolte molto spesso in casa con impacchi caserecci o
cocktail di medicinali.
In
tante crollano
Gli
ex operatori di “Volti d’Ebano”,
la vecchia unità di strada legata alla Fondazione Santi
Medici Cosma e Damiano Onlus, ricordano ancora con spavento il gesto di
una ragazza che, decisa a farla finita, si sdraiò nel bel
mezzo della carreggiata, in direzione Bitonto. Fortunatamente
riuscì a salvarsi, grazie anche all'aiuto delle sue amiche.
L'indotto
della prostituzione
Sulla
231, ma soprattutto a Bari, il dramma produce
un’economia parallela che non interessa le organizzazioni
criminali. Sono in tanti a lucrare:
avvocati, commercialisti, chi affitta tuguri, chi procura preservativi,
gli hotel che affittano camere a ore, chi offre servizi di catering,
locali notturni che si trasformano nei weekend in case chiuse, e
così via.
Tutti
passaggi che possono fruttare anche diverse centinaia di euro a ragazza.
Nel 2017 le indagini della Squadra Mobile di Bari hanno permesso di
denunciare a piede libero un professionista barese che avrebbe indotto
circa centocinquanta nigeriane a dichiarare una falsa provenienza, al
fine di ottenere il permesso di soggiorno provvisorio, per fini
umanitari, e poter allungare la loro permanenza sul territorio italiano.
5-600ragazze
nigeriane, ma forse addirittura di mille,
sono quelle che gravitano attorno alla sola città
di Bari. Un numero enorme che sta a significare come la mafia
nigeriana sia penetrata capillarmente in città
Le
istituzioni possono fare poco. Il comando di Polizia Locale
di Terlizzi, il territorio più colpito
dell’hinterland dal fenomeno, ha ricevuto lo scorso anno il
premio nazionale Anvu “Prof. Alvaro Pollice”
per le attività di contrasto alla prostituzione. Nella
città dei fiori, in realtà, sono state applicate
sempliciotte politiche del decoro: dai resoconti dei giornali online,
si apprende che negli ultimi anni le attività della Polizia
Locale hanno portato a otto arresti in flagranza di reato, cinque
denunce e tre decreti di espulsione per altrettante ragazze nigeriane
non regolari. Pochissimo, praticamente nulla, rispetto alle 5-600
nigeriane, forse addirittura mille, che gravitano attorno alla sola
città di Bari
Nessuno
si è preoccupato delle ragazze e mai nessuno lo
farà: tra gli ulivi di una contrada terlizzese che
si affaccia sulla 231, campeggia ancora oggi un cartello bacchettone
che recita “divieto di prostituzione”,
con lo stemma del Comune di Terlizzi, ma senza alcuna autentificazione.
La prostituzione
è ridotta ad una pura e semplice questione di immagine.
Approfondimento
Ecco
come i baresi fanno i soldi con l'indotto della prostituzione
-
leggi qui -
|
Joy
si prostituiva sulla complanare di San Giorgio
Da
quando arrivò al Cara di Bari-Palese sapeva che doveva
avvisare la sua mamamche le aveva promesso un
lavoro come parrucchiera. Bisogna guadagnare, provvedere
alla famiglia rimasta in Nigeria, c’è un debito da
pagare. Lascia il centro, la mamam la porta in una casa a Madonnella,
in via Ragusa dove c'era anche una connazionale. Inizia a prostituirsi,
la costringono a prostituirsi.
Quella
sera Joy sta male. È stanca,
tossisce tutto il tempo. Ma non chiama i soccorsi, non
sa di avere la tubercolosi, non ha i documenti in regola. Si
accascia a terra, ai margini della strada, nella notte fredda di Bari.
Un passante, forse un cliente, chiama l’ambulanza con il suo
cellulare. È troppo tardi. All'arrivo
dei sanitari, Joy
perde sangue dalla bocca. Passano alcune ore e
muore. Era meno di due anni fa.
In
un mercato fuori controllo il rischio della proliferazione di patologie
è molto altoe sono frequenti i casi
di ragazze affette da AIDS, gonorrea, epatite.
L’incidenza aumenta tra le nigeriane dato il numero di
rapporti consumati senza protezione. Come nel caso di Joy
Johnson, sono le patologie legate all'attività su
strada a preoccupare. Da anni le associazioni denunciano
l’insorgere di malattie considerate scomparse,
nonché di segnali psicosomatici molto forti, che possono
causare patologie all'apparato respiratorio, ulcere, coliti, gastriti,
malattie da stress, perfino tumori.
I
clienti
"Sono
felice, un mio amico mi porterà a cena, mangeremo pesce". Il sorriso di “Petra”
è illuminato dalla luce incandescente di un lampione. Alle
sue spalle c’è uno stabilimento in abbandono. Che
strano posto per un appuntamento. Ma l’amico
è un cliente e “Petra”
sorride.
Il
mercato del sesso è frequentato da
un’umanità variegata e non si
può nemmeno generalizzare nell'identificare tutti quelli che
frequentano prostitute come orchi affamati di sesso. Quello dei clienti della
prostituzione ad oggi resta un mondo dai contorni vaghi,
indefiniti, che comprende più di due milioni e
mezzo di cittadini italiani che frequentano la strada di frequente e almeno altri sei
milioni che hanno rapporti con prostitute di tanto in tanto.
La realtà
è complessae
dietro le prestazioni su strada sovente si nascondono vere e proprie
relazioni,
seppure
“falsate” dall'ambiente in cui
vengono vissute.
D'altronde il cliente paga la prostituta per essere una persona che non
è persona. Mirta Da Pra, responsabile del progetto
“Vittime” del Gruppo
Abele
spiega che “non è poi
così raro che un uomo paghi solo per parlare”. Più
in generale tra i clienti, studenti, operai, anziani,
c’è una educazione all'affettività
totalmente sfasata. Per loro la prostituta rappresenta un modo semplice
e senza mediazioni per accedere al mondo femminile, ad una sfera
sessuale aperta, ad un mondo “esotico”,
altrimenti precluso.
Il
cliente che si “innamora” non
è una leggenda metropolitana, sono tantissimi i casi
di uomini che si invaghiscono delle ragazze e provano a salvarle dalla
tratta. Ci sono uomini che hanno speso fortune personali
ingenti pur di cercare di "salvare" queste ragazze.
Soprattutto le nigeriane lo sanno, e molto spesso approfittano di
questi uomini "chioccia". Si fanno pagare l'affitto,
si fanno dare denaro per estinguere il debito e così
smettere di prostituirsi, con scuse varie si fanno dare soldi per
aiutare fratelli, sorelle, i genitori rimasti in Nigeria.
Questi
uomini "innamorati" molto spesso, dopo un po' di
mesi, rimangono soli, la ragazza sparisce assieme alle migliaia di euro
(a volte decine di migliaia) consegnati alla ragazza.
Come
"aiutare" una ragazza nigeriana che si prostituisce
Un'insieme
di regole che abbiamo scritto per non lasciarsi fregare, per chi vuole
davvero aiutare queste ragazze senza restare poi con un pugno di mosce
in mano
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Secondo
il Ministero delle Pari Opportunità, in Italia ci sono circa
400 strutture che offrono assistenza alle vittime
della tratta sessuale e lavorativa, chiamate dagli addetti ai lavori
“case di fuga”. I dati di
ottobre 2018, i progetti riguardano 1137 persone, di
cui 929 donne nigeriane.
La
Casa di Adelfia
Una
delle case più importanti in provincia si trova ad Adelfia,
a pochi chilometri da Bari. La casa è gestite dalle sorelle Adoratrices
Esclavas del Santísimo Sacramento y de la Caridad,
in collaborazione con Micaela
Onlus. L’ordine spagnolo, sin dalla nascita, per
vocazione si occupa di assistenza alle donne sfruttate. Sino a qualche
anno prestavano attività all’Istituto
“Maria Cristina di Savoia” di Bitonto.
La
casa di Adelfia accoglie un piccolo numero di donne, che non
supera mai la decina. È composta da una struttura a due
piani. Di sopra ci sono le camere, al pian terreno gli spazi comuni. La
preoccupazione delle sorelle è quella di riconciliare le
vittime con la normalità. In gruppo si prendono cura della
casa, badano al giardino, seguono corsi di formazione, tornano a fare
esperienza della quotidianità. Per questo i contatti con
l’esterno sono molto limitati.
Nigeriane
salvate
Il lavoro di ricostruzione
psicologica è delicatissimo. In un recente rapporto,
l’OIM si è mostrata preoccupata dai disturbi
psichici che affliggono le giovani nigeriane. “Situazioni
eccezionali di vulnerabilità” che forniscono
un quadro “sempre più
drammatico della brutalità con cui giovani donne, e a volte
bambine, sono trafficate verso l’Europa”
Tantissimi sono i
casi di allucinazioni. Alcune donne riferiscono di una
presenza maschile nella stanza durante la notte, lo sciamano che le ha
sottoposte al juju in Nigeria, o dichiarano di sentirsi soffocare per
mano di qualche divinità.
Quelle
delle vittime sono identità destrutturate. Le
ragazze hanno bisogno di credere in un passato in continuità
con il presente cancellando, però, l'esperienza della
prostituzione, inelaborabile, avvertita come un'escrescenza temporale o
come una crepa che rischia di sfaldare le stratificazioni della storia
personale. Ma a quale passato riferirsi, quale storia ripercorrere,
quale nostalgia avvertire se la madre terra, la famiglia, la stessa
lingua sono sentite come complici dell'orrore che hanno vissuto?
Tra
gli Igbo gira un proverbio ripreso da Chinua Achebe
ne "Le cose crollano"
"Un
uomo che non sa dire dove la pioggia lo ha colpito non sa neppure dove
il suo corpo si è asciugato"
Ci
consegna l'immagine impietosa di una generazione di sfruttate.
Più delle percosse, più delle torture,
più delle angherie subite. Donne costrette a vivere in un
eterno presente, private di un futuro in cui sperare e di un passato in
cui rifugiarsi. Dove andranno, chi saranno queste donne? L’Occidente
deve cominciare a chiederselo.