Mi violentarono, e fu terribile
Dagli scritti di Maris
stiamo scoprendo documenti straordinari, molto intimi, a volte drammatici come la storia che abbiamo
voluto trascrivere in questa pagina un suo appunto che racconta della sua prima volta in Italia.
Prima città Torino, e quei signori eleganti mi presero a forza e, alla presenza della mia prima madame, mi violentarono ripetutamente, per tre giorni di seguito, mi dissero che dovevo imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i miei 21 anni .. da "Parlo di me"
Torino è una città fantastica, ma in me evoca un ricordo drammatico, una situazione che non auguro mai a nessuna donna. Era la fine di aprile del 1995, la mia famiglia, in pratica mio padre, in Nigeria (alla periferia di Benin City) mi aveva "costretta" ad andare con due signori (nigeriani) che poi mi avrebbero portata in Italia dove avrei trovato lavoro come commessa in qualche supermercato o in qualche negozio.
Io non volevo venire in Italia, l'anno prima mi ero diplomata alla scuola superiore, ma quando quei signori proposero a mio padre dei soldi in cambio di una delle figlie, mio padre scelse me perché ero la primogenita.
Arrivai alla stazione di Torino dopo un lunghissimo viaggio in treno da Amsterdam. Era una mattina, ero sola, impaurita, non conoscevo la lingua, non conoscevo nulla e nessuno. Come previsto mi venne incontro un ragazzo nigeriano. Avevo due grosse valige e una borsa. Inquadrai subito quel ragazzo come un perfetto idiota, non accennò nemmeno per un momento di darmi una mano con i bagagli.
Un taxi ci portò in un luogo pieno di palazzi, salimmo al 5° piano di uno di essi e li trovai altre ragazze nigerine, 4 o forse 5, non ricordo esattamente, e una signora molto grassa, nigeriana anche lei. La grassezza di una donna, nella cultura Edo è uno status simbol, significa benessere economico. Dopo una decina di minuti quel ragazzo se ne andò. Sapendo che con me c'erano altre ragazze nigeriane un po' mi rincuorai.
Quella sarebbe stata la mia casa per i mesi successivi. Quel giorno non accadde nulla, la signora mi portò in una piccola stanza senza finestre, un letto pieghevole e null'altro. Chiuse la porta della stanza a chiave e mi lasciò sola. Ho dormito fino al giorno successivo, finché quella signora venne ad aprire la porta e mi disse che doveva parlarmi.
Le chiesi delle altre ragazze, e mi rispose che erano a dormire perché la notte scorsa erano andate a lavorare. Mi venne subito la domanda "ingenua" ma che lavoro è lavorare di notte, lei mi disse semplicemente che lo avrei scoperto molto presto. Ci parlavamo in inglese, e dalla sua inflessione capii che anche quella signora veniva da Benin City.
Quello
che
la signora mi disse subito dopo fu per me drammatico, capii all'istante che ero stata ingannata, e che non
avrei mai fatto la commessa:
Quella donna mi disse:
A questo punto lei mi minacciò ricordandomi che avevo fatto una promessa (il rito woodoo) e che se avessi rotto il patto avrebbero fatto del male a mia madre o alle mie sorelle, oppure a me. Poi mi rinchiuse nella mia stanza .. Piansi, e piansi ancora.
Non potevo vedere di fuori perché la stanza era senza finestre, non potevo parlare con le altre ragazze, ricevevo un piatto di "yam" (pietanza nigeriana) solo una volta .. Quando le ragazze stavano per uscire al "lavoro", la signora veniva ad aprire e mi invitava ad andare con loro .. ma io continuavo a rispondere sempre di NO.
Passarono 4 o 5 giorni (avevo anche perso la cognizione del tempo) quando si presentarono alla porta due ragazzi nigeriani accompagnati dalla signora "Elizabeth".
La
"mamam" era sola in casa, le ragazze tutte uscite.
Uno dei due ragazzi mi prese a forza mentre l'altro iniziò a strapparmi i pochi vestiti che avevo adosso, e
così mentre la signora stava a guardare con il ghigno sulla faccia, quei due ragazzi a turno mi
violentarono.
Io con tutte le mie forze ho fatto resistenza e così uno dei due accese una sigaretta e me la spense sul piede, sentii un dolore tremendo. Ma più che il dolore fisico, ero ferita nel morale, ero a pezzi per quello che mi avevano fatto.
Alla fine la madame mi disse che anche questo era un modo per imparare il mestiere. Il giorno successivo dissi di NO ancora e così la signora fece arrivare di nuovo quei due ragazzi che se la ridevano. Il terzo giorno dissi di NO ancora e così iniziarono anche picchiarmi e a torturami spegnendomi sigarette anche sotto la pianta del piede e sulle braccia. .. (il seguito è intuibile)
Rimasi a Torino per altri mesi, fino all'inizio dell'anno sucessivo.
Qui termina questo racconto che riguarda la prima volta di Maris in Italia. L'intera Storia personale di Maris Davis è stata raccontata da lei stessa in una pubblicazione di poche pagine nell'agosto del 2010, Parlo di me (senza paura).
In seguito la storia è stata ripresa da molti blog e riviste (tra cui Famiglia Cristiana). All'inizio del 2012 un libro edito Rizzoli e scritto da Suor Eugenia Bonetti - Spezzare le Catene (Vai al libro) - ha dato ampio spazio alla vicenda personale di Maris Davis. Una vicenda che inizia nel 1995 e che termina solo alla fine del 2003 a Madrid, in Spagna.
Prima città Torino, e quei signori eleganti mi presero a forza e, alla presenza della mia prima madame, mi violentarono ripetutamente, per tre giorni di seguito, mi dissero che dovevo imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i miei 21 anni .. da "Parlo di me"
Torino è una città fantastica, ma in me evoca un ricordo drammatico, una situazione che non auguro mai a nessuna donna. Era la fine di aprile del 1995, la mia famiglia, in pratica mio padre, in Nigeria (alla periferia di Benin City) mi aveva "costretta" ad andare con due signori (nigeriani) che poi mi avrebbero portata in Italia dove avrei trovato lavoro come commessa in qualche supermercato o in qualche negozio.
Io non volevo venire in Italia, l'anno prima mi ero diplomata alla scuola superiore, ma quando quei signori proposero a mio padre dei soldi in cambio di una delle figlie, mio padre scelse me perché ero la primogenita.
Arrivai alla stazione di Torino dopo un lunghissimo viaggio in treno da Amsterdam. Era una mattina, ero sola, impaurita, non conoscevo la lingua, non conoscevo nulla e nessuno. Come previsto mi venne incontro un ragazzo nigeriano. Avevo due grosse valige e una borsa. Inquadrai subito quel ragazzo come un perfetto idiota, non accennò nemmeno per un momento di darmi una mano con i bagagli.
Un taxi ci portò in un luogo pieno di palazzi, salimmo al 5° piano di uno di essi e li trovai altre ragazze nigerine, 4 o forse 5, non ricordo esattamente, e una signora molto grassa, nigeriana anche lei. La grassezza di una donna, nella cultura Edo è uno status simbol, significa benessere economico. Dopo una decina di minuti quel ragazzo se ne andò. Sapendo che con me c'erano altre ragazze nigeriane un po' mi rincuorai.
Quella sarebbe stata la mia casa per i mesi successivi. Quel giorno non accadde nulla, la signora mi portò in una piccola stanza senza finestre, un letto pieghevole e null'altro. Chiuse la porta della stanza a chiave e mi lasciò sola. Ho dormito fino al giorno successivo, finché quella signora venne ad aprire la porta e mi disse che doveva parlarmi.
Le chiesi delle altre ragazze, e mi rispose che erano a dormire perché la notte scorsa erano andate a lavorare. Mi venne subito la domanda "ingenua" ma che lavoro è lavorare di notte, lei mi disse semplicemente che lo avrei scoperto molto presto. Ci parlavamo in inglese, e dalla sua inflessione capii che anche quella signora veniva da Benin City.
Quella donna mi disse:
- Da ora in avanti avrei dovuto chiamarla "signora Elizabeth", che era la mia "mamam" e che lei era la mia padrona perché mi aveva comprata.
- Dovevo contribuire alle spese della casa e che per l'affitto della stanza dovevo pagare 600 mila lire al mese (all'epoca non conoscevo il valore delle lire italiane perché avevo sempre fatto i conti in dollari o in naira, la moneta della Nigeria).
- La signora mi disse anche che lei aveva pagato il mio viaggio dalla Nigeria, e che tra documenti, organizzazione, il viaggio in aereo fino ad Amsterdam, il treno, ecc.. dovevo pagare a lei 60 mila dollari, ma, bontà sua petevo pagare anche a rate.
- Avrei dovuto consegnare a lei almeno un milione e mezzo alla settimana (circa 800 dollari dell'epoca) e che in questo modo, entro due anni, avrei potuto estinguere il mio debito e che poi mi avrebbe lasciata libera.
- Per guadagnare subito quei soldi e magari qualcosa in più che potevo mandare alla mia famiglia, avrei dovuto prostituirmi in strada, con le altre ragazze, e che una di loro mi avrebbe insegnato come fare, come vestirmi e come comportarmi con i clienti .. "Questo è l'unico modo", disse, "e se non farai la difficile tutto andrà bene".
A questo punto lei mi minacciò ricordandomi che avevo fatto una promessa (il rito woodoo) e che se avessi rotto il patto avrebbero fatto del male a mia madre o alle mie sorelle, oppure a me. Poi mi rinchiuse nella mia stanza .. Piansi, e piansi ancora.
Non potevo vedere di fuori perché la stanza era senza finestre, non potevo parlare con le altre ragazze, ricevevo un piatto di "yam" (pietanza nigeriana) solo una volta .. Quando le ragazze stavano per uscire al "lavoro", la signora veniva ad aprire e mi invitava ad andare con loro .. ma io continuavo a rispondere sempre di NO.
Passarono 4 o 5 giorni (avevo anche perso la cognizione del tempo) quando si presentarono alla porta due ragazzi nigeriani accompagnati dalla signora "Elizabeth".
Io con tutte le mie forze ho fatto resistenza e così uno dei due accese una sigaretta e me la spense sul piede, sentii un dolore tremendo. Ma più che il dolore fisico, ero ferita nel morale, ero a pezzi per quello che mi avevano fatto.
Alla fine la madame mi disse che anche questo era un modo per imparare il mestiere. Il giorno successivo dissi di NO ancora e così la signora fece arrivare di nuovo quei due ragazzi che se la ridevano. Il terzo giorno dissi di NO ancora e così iniziarono anche picchiarmi e a torturami spegnendomi sigarette anche sotto la pianta del piede e sulle braccia. .. (il seguito è intuibile)
Rimasi a Torino per altri mesi, fino all'inizio dell'anno sucessivo.
Qui termina questo racconto che riguarda la prima volta di Maris in Italia. L'intera Storia personale di Maris Davis è stata raccontata da lei stessa in una pubblicazione di poche pagine nell'agosto del 2010, Parlo di me (senza paura).
In seguito la storia è stata ripresa da molti blog e riviste (tra cui Famiglia Cristiana). All'inizio del 2012 un libro edito Rizzoli e scritto da Suor Eugenia Bonetti - Spezzare le Catene (Vai al libro) - ha dato ampio spazio alla vicenda personale di Maris Davis. Una vicenda che inizia nel 1995 e che termina solo alla fine del 2003 a Madrid, in Spagna.
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