Razzismo all'italiana. Decreto in-sicurezza atto secondo
Il peggio deve ancora venire. Decreto in-sicurezza bis, una serie di norme punitive in merito al soccorso in mare di migranti. Ennesima "legge razziale" nell'indifferenza di tutti.
L'analisi tecno-giuridica del decreto è dell'avvocato Riccardo Morielli, operatore legale del Centro di Accoglienza Straordinaria di Savona. |
Il
ministro dell’Interno ha perso l’ennesima
occasione per rivolgere altrove le sue mire politiche e governative nel
vero interesse del Paese.
Non
pago della prima ondata di “sicurezza”
che ha generosamente regalato agli italiani nell'ottobre del 2018, in
queste ultime settimane, il ministro si è rimesso le vesti
del legislatore d’urgenza e ha sfornato un decreto “sicurezza
bis” che, nonostante le revisioni
dell'ultimo momento (che
sono un contentino per farlo votare anche ai 5 Stelle),
dimostra una volta ancora, non
solo la sua debolissima conoscenza della Carta Costituzionale,
ma anche la sua totale impreparazione in tema di
diritto internazionale.
D'altronde
quando si consente a soggetti privi della conoscenza dei fondamenti
giuridici di legiferare, per giunta con strumenti d’emergenza
utilizzati impropriamente, il risultato non può che essere
un abominio normativo di difficile comprensione e di ancor
più difficile accettazione.
Questa volta ha perfino superato se stesso
Gli
istituti colpiti dalle modifiche legislative che dovrebbero regalare a
tutti i cittadini italiani una sicurezza definitiva, non vanno
solamente ad interessare l'affair migratorioma
vanno ad intaccare alcuni diritti storici del nostro sistema democratico,
limitandoli grandemente.
Prima
di vederli nel dettaglio è doveroso fare un rapido passaggio
sugli interventi in materia immigrazione introdotti col decreto.
Articolo 1
Con
l’articolo 1 del decreto Sicurezza Bis, Salvini getta la
maschera circa la sua propensione all'accentramento del potere
governativo di infausti e tragici richiami.
Con il nuovo comma 1-ter dell’art. 11 del Testo Unico in materia di immigrazione, ribadendo, in premessa, che il ministro dell'Interno è l’assoluta autorità nazionale di pubblica sicurezza, Salvini attribuisce a se stesso il potere di intervenire nel vietare o limitare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni, limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, di cui all'articolo 19 comma 2 lettera g della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare.
Con il nuovo comma 1-ter dell’art. 11 del Testo Unico in materia di immigrazione, ribadendo, in premessa, che il ministro dell'Interno è l’assoluta autorità nazionale di pubblica sicurezza, Salvini attribuisce a se stesso il potere di intervenire nel vietare o limitare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni, limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, di cui all'articolo 19 comma 2 lettera g della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare.
La
soluzione “palliativa” di
prevedere che i provvedimenti debbano essere presi di concerto con il
ministro della Difesa e con il ministro delle Infrastrutture e dei
trasporti, rappresenta solamente un tentativo malriuscito di dimostrare
una pluralità operativa, di fatto inesistente.
La
finalità è invece palese. Camuffare il potere
decisionale unico ed esclusivo del Viminale circa le decisioni sulla
chiusura dei porti, con una malcelata condivisione dei
provvedimenti al doppio scopo di ottenere
l’esclusività e imporre agli alleati di governo
una partecipazione tanto indotta quanto obbligata.
Tragica
curiosità. Il Codice della
Navigazione che attribuiva correttamente questo potere di intervento al
ministro dei Trasporti risale al 1942 (epoca
fascista). Salvini va
oltre, introduce un ampliamento dei poteri del ministro
dell’Interno che oltrepassa persino l’impianto
originario mussoliniano.
L’indeterminatezza
delle condotte descritte nella norma, poi, lascia campo aperto al
Ministro che potrebbe decidere di vietare l’ingresso o il
transito a qualsiasi imbarcazione in nome di un “allarmismo
orientato”, diretto a colpire
esclusivamente una tipologia di navigazione. E sappiamo bene quale.
Articolo 2
Con
l’articolo 2 del decreto legge
sicurezza-bis viene modificato l’articolo 12 del Testo Unico
in materia di immigrazione, attraverso l’inserimento del
nuovo comma 6 bis.
Viene
a configurarsi un nuovo illecito amministrativo accanto a quello penale
già previsto dalla norma. In sostanza, si prevede
l’obbligo per il comandante della nave, di osservare la
normativa internazionale e i divieti e le limitazioni disposte
dall'articolo 11 comma 1-ter sopra illustrato.
In
caso di violazione, è prevista
l’irrogazione di una sanzione amministrativa per un importo
compreso tra € 10.000 e €
50.000 nei confronti del comandante, dell’armatore
e del proprietario della nave. In caso di reiterazione delle condotte
commesse con la medesima nave, alla sanzione economica è
associata la confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro
cautelare.
Primo
abbaglio del “legislatore”.
Le
convenzioni internazionali non ammettono in nessun caso la
possibilità del mancato soccorso anche se motivato da
ragioni di sicurezza. Il salvataggio e la
conseguente messa in sicurezza sono i capisaldi della normativa
marittima ripresa dal diritto internazionale nonché principi
cardine di ogni Stato di diritto.
Anche
in questo caso, poi, il generico
richiamo a condotte non definite, lascia aperti spazi
normativi pericolosi, all'interno dei quali il Ministro
potrebbe agevolmente inserirsi per andare a contrastare qualsiasi
azione posta in essere dai comandanti, in forza di una paventata
necessità di sicurezza che cela, invece, una
volontà di colpire chi opera nel soccorso di migranti.
Basta
così? Neppure per sogno, il “bello”
viene ora e viene per i cittadini italiani
Articolo 6
Con l'articolo 6 si
va a scomodare una disposizione normativa risalente alla
metà degli anni '70, pensata in quel
tempo per contrastare la crescente diffusione e radicalizzazione dei
movimenti sociali in costanza di gravi episodi accaduti (attentati e
uccisioni politiche) e,
fortunatamente, ormai distanti decenni dalla situazione attuale.
L’articolo
5 della legge n. 152/1975 disciplina il cosiddetto reato di “travisamento”,
illecito contravvenzionale prima punito con l’arresto da uno
a sei mesi, pena poi elevata nel 1977 all'arresto da sei mesi ad un
anno e nuovamente modificata nel 2005 con la previsione
dell’arresto da uno a due anni.
Con
il nuovo decreto sicurezza, tale illecito
contravvenzionale, se commesso in occasione di
manifestazioni pubbliche, pur restando invariato il massimo di pena, viene trasformato in
delitto, con tutta quella serie di conseguenze
problematiche che un reato può rappresentare.
Ma la
modifica di maggiore impatto apportata alla
legge n. 152/1975, concerne l’inserimento dell’art.
5 bis, con il quale, a completamento dello spazio repressivo
già saldamente e pesantemente presidiato dall'art. 336 c.p, (violenza o
minaccia a pubblico ufficiale) e 337 c.p. (resistenza a
pubblico ufficiale) si introduce una nuova
ipotesi di reato autonomo, del tutto
priva di ratio giuridica, al solo fine di creare
un ulteriore deterrente per arrestare qualsiasi forma di protesta nel
corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Articolo 7
Per
non farsi mancare nulla, il successivo art. 7 contiene un paio di
modifiche al codice penale, anche queste di rilevante impatto. In
particolare:
- Viene innalzato il limite edittale per il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica utilità (fattispecie, tra l’altro, caduta in disuso consuetudinario negli ultimi decenni e magicamente rispolverata dal Ministro): si prevede la reclusione sino a due anni se la condotta illecita viene commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico
- In riferimento al reato di danneggiamento aggravato (635 c.p.), attualmente punito con una pena già elevata che va da un minimo di sei mesi ad un massimo di tre anni, viene previsto l’innalzamento dei limiti edittali, che vengono portati da uno a cinque anni, nel caso in cui il reato sia commesso nel corso di una manifestazione pubblica.
- Corollario incomprensibile di tale disposizione è quello di non poter usufruire, in tali fattispecie, della portata deflattiva della scelta del rito alternativo e deflattivo della sospensione del processo con messa alla prova.
Tutto
ciò è allarmante per uno Stato di diritto,
oltrepassa di gran lunga le soglie di tollerabilità per uno
Stato civile e democratico.
Innalzare
le pene per tali tipologie di condotte o prevedere apposite nuove
ipotesi delittuose, al solo scopo di creare un deterrente per impedire
ai cittadini di contestare l’operato di un governo,
manifestando il dissenso, è una subdola opera di controllo
indisciplinato e illegittimo.
Senza
contare l’enorme stanziamento di fondi statali previsto per
mettere in pratica questo scempio normativo. Si parla di
oltre 28 milioni di euro che, immancabilmente, ricadranno sulle tasche
dei cittadini.
Davvero
sentiamo la necessità impellente di impiegare, con urgenza,
un così ingente quantitativo di denaro pubblico in questo
modo?
Il
progetto di questo secondo pacchetto sicurezza, figlio di una
precedente normativa che, ad oggi, non ha sortito nemmeno un terzo
degli effetti sperati dal Ministro (vedi i
bassissimi numeri di rimpatri ed espulsioni), pare
solamente l’ennesimo tentativo di colpire i soggetti
più deboli dell’ordinamento,
individuando, a turno, questa o quella categoria da contrassegnare come
l’origine e la causa di tutti i problemi del Paese.
Mala
tempora currunt sed peiora parantur
("corrono
brutti tempi ma se ne preparano di peggiori")