Silvia Romano si trova in Somalia, forse nelle mani degli Al-Shabaab. In Kenya si indaga per terrorismo
Le conclusioni della procura generale di Nairobi. Le mosse degli inquirenti italiani
Non sanno chi ce l’ha, ma sanno chi non ce l’ha: dopo dieci mesi di dubbi e di smentite, la Procura generale di Nairobi si è convinta che Silvia Romano sia stata rapita non da una scalcagnata banda di criminali kenyoti a caccia di soldi facili, ma «per fini di terrorismo». E che quindi sia finita nelle mani degli islamisti Al Shabaab, i qaedisti somali, ai quali potrebbe essere stata ceduta in un secondo momento.
È un’ipotesi che girava fin dal primo giorno, a suo tempo confermata dai corpi speciali impegnati nelle ricerche lungo il fiume Tana, ma ora è nero su bianco:
- troppo frequenti, i contatti telefonici della gang con la Somalia;
- assai «sproporzionati» i mezzi impiegati nel sequestro, gli uomini e le armi e le moto, rispetto alle tecniche usate dalla mala locale;
- anomala quella fuga nella savana, fra gli spari e verso la porosa frontiera somala.
Ancora non si sa se è viva, dunque, ma ora si sa chi potrebbe volerla morta. In carcere, sotto processo, ci sono solo tre degli otto che il 20 novembre presero la ventitreenne volontaria milanese a Chakama, un villaggio a un’ottantina di km da Malindi: forti della nuova convinzione acquisita, e sollecitati dai Ros italiani che finalmente hanno potuto vedere il materiale investigativo, i giudici hanno deciso di contestare ai tre imputati l’aggravante del terrorismo e di negare la libertà su cauzione. Abdullah Gaba Wario, Moses Luwali Chembe e Said Adhan Abdi restano dentro, e si cercherà di verificare l’attendibilità di quanto raccontato finora.
Da quando i carabinieri sono tornati in Kenya, con una rogatoria internazionale, qualcosa si tenta di smuovere: in un quarto incontro dei prossimi giorni coi colleghi africani, saranno acquisiti nuovi verbali, altri tabulati telefonici e documenti vari da inserire nel fascicolo del sostituto romano Sergio Colaiocco.
Siamo a una svolta? Non c’è da sperare chissà che. Ma stabilire che Silvia sia cascata nelle mani dei fondamentalisti islamici, è già un passo avanti in un’inchiesta che ne ha fatti solo all’indietro. E mette in gioco apparati che stavano fuori: il Kenya ha un diverso modo d’investigare i fatti di terrorismo e quelli di criminalità comune, anche la spinta «politica» è differente.
In queste ore, al Consiglio di sicurezza dell’Onu, Nairobi ha lavorato per estendere alla Somalia (e ad Al Shabaab) le sanzioni previste dalla risoluzione 1267 nei territori controllati da Isis e Al Qaeda.
La battaglia al Palazzo di vetro però è andata perduta. Perché molte ong e soprattutto sei Paesi, Usa, Germania, Francia, Belgio, Polonia e Kuwait, si sono opposti. Meglio evitare d’affamare Al Shabaab, sostengono: significherebbe condannare anche milioni di somali disperati. E forse complicare il caso Silvia, ancora di più.
La battaglia al Palazzo di vetro però è andata perduta. Perché molte ong e soprattutto sei Paesi, Usa, Germania, Francia, Belgio, Polonia e Kuwait, si sono opposti. Meglio evitare d’affamare Al Shabaab, sostengono: significherebbe condannare anche milioni di somali disperati. E forse complicare il caso Silvia, ancora di più.