La Cina continua a conquistare pezzi di Nigeria (e di Africa)
C’è grande preoccupazione in Nigeria in relazione all’indebitamento del Paese con la Cina. Dai dati pubblicati dall’Ufficio Gestione del Debito (Dmo) e riportati dai giornali risulta che l’amministrazione guidata da Muhammed Buhari, dal 2015, ha preso in prestito dalla Cina una somma pari a 2,02 miliardi di dollari. Al 30 giugno 2015 il debito complessivi della Nigeria dalla Cina era di 1,38 miliardi di dollari. Tuttavia, al 31 marzo 2020, il portafoglio del debito risultava salito a 3,40 miliardi di dollari.
Tutti i prestiti contratti con la Cina sono legati a progetti. I progetti (undici al 31 marzo 2020) comprendono il Progetto di modernizzazione delle ferrovie nigeriane (sezione Idu-Kaduna), il progetto di metropolitana leggera di Abuja, il progetto di espansione dei quattro terminal aeroportuali nigeriani (Abuja, Kano, Lagos e Port Harcourt), il progetto di modernizzazione delle ferrovie nigeriane (sezione Lagos-Ibadan) e il progetto di riabilitazione e ammodernamento della strada Abuja-Keffi-Makurdi, a cui ora si aggiunge un nuovo sistema di monitoraggio elettronico satellitare lungo alcuni tratti dei 5.000 chilometri di confine nigeriano che sarà costruito dalla cinese Huawei.
“Sorveglianza elettronica satellitare 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Potremo premere un pulsante per sapere cosa sta succedendo al posto di frontiera di Kamba, al confine di Jibia e anche a Mfum, tra gli altri”. A parlare così è stato Rauf Aregbesola, ministro degli Interni della Nigeria. I dettagli sui nuovi sistemi di sorveglianza al confine del paese africano derivano invece da un accordo che Abuja è “sul punto di stipulare” con la cinese Huawei. Obiettivo della costruzione di un confine digitale: rafforzare i controlli sull'immigrazione e migliorare la sicurezza, contrastando i crimini transfrontalieri. "La Nigeria ha circa 5.000 chilometri di linea di confine. Ciò significa che non è possibile avere un numero sufficiente di uomini che presidiano ogni centimetro o millimetro di quella linea di confine".
Si tratta di solamente uno dei casi di penetrazione tecnologica cinese in Africa. La stessa Huawei, mentre soffre ancora gli effetti della "fatwa" lanciata nei suoi confronti dagli Stati Uniti, nel continente continua a trovare nuovi spazi. In Africa, gli operatori locali hanno investito pesantemente in apparecchiature e infrastrutture cinesi, con Pechino che spesso fornisce finanziamenti per la costruzione di infrastrutture informatiche e di telecomunicazioni, tra cui centri dati, cavi in fibra ottica e servizi cloud. A ottobre altri due operatori di telefonia mobile africani hanno lanciato reti 5G alimentate da Huawei. Si tratta della sudafricana Telkom, in parte di proprietà statale, e del principale operatore di telefonia mobile del Kenya, Safaricom. Molte delle società di telecomunicazioni africane, compresa Safaricom, usano più fornitori per evitare le sanzioni statunitensi o evitare di finire nel mirino per la cooperazione con Huawei. Una cooperazione a cui in molti in Africa continuano a dare grande importanza.
Il rapporto si proietta anche verso il futuro. Durante un recente vertice sul 5G svoltosi a Bangkok, l'azienda di Shenzhen ha annunciato nuovi investimenti in Africa per dare impulso alla “terza ondata della digitalizzazione” a partire dal 2023. Le tecnologie Huawei sono spesso più convenienti di quelle offerte dalle controparti occidentali e i paesi africani colgono l'occasione per modernizzare le proprie infrastrutture tecnologiche. Il fatto che l'Africa prosegua a stringere accordi con un'azienda finita nel mirino di Washington e di riflesso dell'Occidente, è sintomatico di una traiettoria precisa dei rapporti tra Cina e Africa. E la vicenda tecnologica è sintomo di una storia più ampia, molto più ampia.
Una storia che inizia con il tour diplomatico dell'allora primo ministro cinese Zhou Enlai in diversi paesi africani tra il dicembre 1963 e il febbraio 1964. Anzi, ancora prima, con la conferenza di Bandung del 1955 che pone le basi per la cooperazione tra Asia e Africa. “Dal 1991, ogni anno l’Africa si conferma la prima meta intercontinentale del ministro degli Esteri cinese”. Ed è stata anche la seconda meta di Xi Jinping per un viaggio all'estero, subito dopo la Russia, nel 2013. All'alba del suo primo mandato da segretario generale del Partito comunista cinese e presidente della Repubblica Popolare. Dal terzomondismo di Mao Zedong alla retorica attuale della Cina garante di sviluppo e stabilità per i paesi emergenti, l'Africa ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale per la diplomazia cinese.
I principi fondamentali della politica estera cinese ben si sposano con le necessità dei governi africani. Rispetto della sovranità e integrità territoriale, non interferenza negli affari esterni, cooperazione win-win: larga parte di quello che i leader regionali vogliono sentirsi dire, soprattutto se si tratta di promesse che non portano con sé dettami politici o sui diritti. Quantomeno sul fronte interno, mentre su quello esterno si richiede una contropartita diplomatica. La prima, storicamente, è quella del salto della barricata in sede Onu con il disconoscimento della Repubblica di Cina di Chiang Kai-shek e il riconoscimento della Repubblica popolare. Dopo una prima fase dotata di una connotazione troppo politica durante l'era di Mao, i rapporti si fanno più tiepidi, complice anche lo storico avvicinamento della Cina agli Stati Uniti e all'occidente. La retorica rivoluzionaria e terzomondista lascia spazio allo sviluppo economico dell'era di Deng Xiaoping.
L'Africa torna prepotentemente al centro delle prospettive di Pechino a cavallo del nuovo millennio. Quando l'occidente isola la Cina, questa cerca proiezione nelle regioni in via di sviluppo a partire dall'Africa. Succede per la prima volta dopo Tian'anmen: nel 1992 “l’allora ministro degli Esteri Qian Qichen visitò 14 paesi africani, inaugurando una pratica ancora in voga. Quella che pare sia stata, dall'inizio, un’iniziativa personale è diventata una regola non scritta per la quale tutt’ora il capo della diplomazia cinese compie la prima trasferta estera dell’anno proprio nel continente africano”. Ancora di più questa tendenza si è accentuata dopo la crisi finanziaria del 2008 e il lancio della Belt and Road Initiative.
Il focus principale, in un continente dove molti paesi non hanno sbocco sul mare, è quello su infrastrutture e trasporti. Stando ai dati rilasciati dal ministero degli Esteri cinese nel novembre 2021, la Cina ha costruito in Africa più di 10.000 chilometri di ferrovie e autostrade, quasi 100 porti e 1000 ponti, più di 80 centrali elettriche su larga scala, oltre 130 strutture mediche, 45 stadi e 170 scuole. “La Cina ha raggiunto la quota del 19,6% di tutti i finanziamenti nelle infrastrutture, piazzandosi solo dopo gli stessi governi africani e con largo distacco da qualsiasi altro partner bilaterale. Dove finiscono esattamente i capitali cinesi? Sinora hanno beneficiato nell’ordine: trasporti (52,8%), comparto energetico (17,6%), settore immobiliare industriale, commerciale e residenziale (14,3%) e mining, ovvero l'insieme di tecniche informatiche per estrarre informazioni utili da grandi quantità di dati (7,7%)”. Spesso questi investimenti hanno portato grandi vantaggi dal punto di vista occupazionale e, appunto, infrastrutturale. Ma anche conseguenze dal punto di vista economico. “In meno di dieci anni, per citare un altro paese pesantemente indebitato con la Cina, il debito del Kenya nei confronti di Pechino è più che triplicato, arrivando a contare quasi il 70% del totale delle passività accumulate. Ferrovie, strade, ponti hanno fatto salire il conto a 6,9 miliardi di dollari nell’aprile 2021. È il prezzo da pagare per la Nuova Via della Seta”.
Ma la proiezione di Pechino va oltre le infrastrutture e investe in pieno la dimensione tecnologica. Lo Zimbabwe ha adottato il riconoscimento facciale di CloudWalk Technology, altri paesi quello di Hikvision. Le aziende cinesi lavorano ai cavi sottomarini per la connessione internet, mentre nel 2020 la sottomarca Tecno per la prima volta ha superato Samsung diventando il brand di cellulari più venduto in Africa. Nella primavera del 2021 Didi Chuxing ha fatto il suo ingresso nel continente con l’inaugurazione del primo servizio di ride-hailing (macchine con autista via app) a Cape Town. In cambio la Cina riceve accesso preferenziale alle risorse minerali e alle terre rare, cruciali per la guerra fredda tecnologica. La Repubblica Democratica del Congo ha il 54% delle risorse globali di cobalto, fondamentale per lo sviluppo delle auto elettriche: nel 2018 la Cina ne ha importato per 1,2 miliardi di dollari. Alle sue spalle l'India con "soli" 3,2 milioni.
Non manca però anche l'aspetto politico. La Cina ha finanziato la costruzione di tanti edifici simbolo del potere continentale africano. “Secondo stime prudenti, almeno 40 dei 55 paesi africani hanno edifici governativi di fattura cinese per un totale di 186 costruzioni: un centro conferenze in Zambia, la sede del Ministero degli Esteri in Kenya, l’edificio che ospita il parlamento dello Zimbabwe, il Centro africano per la prevenzione e la cura delle malattie in Etiopia”. La Cina di Xi Jinping non nasconde più il suo orgoglio per un modello politico-sociale “con caratteristiche cinesi” che ora prova anche a insegnare alle controparti africane. Dal 2011 al 2017 Pechino ha offerto almeno 4.100 borse di studio per studenti e funzionari sudsudanesi, per dirne una. Ma gli scambi di questo tipo sono stati numerosi con tutto il continente. Strategicamente, a Gibuti è stata invece aperta la prima base militare all'estero dell'Esercito popolare cinese, in corrispondenza dello stretto di Bab el-Mandeb che porta a Suez e al Mediterraneo. Mossa che consente alla Cina di posizionarsi in uno snodo importante ma anche di mostrarsi come potenza responsabile partecipando a diverse operazioni anti-pirateria.
I vantaggi della cooperazione con l'Africa sono chiari dal punto di vista economico e digitale. “Il valore dell’economia di internet in Africa potrebbe raggiungere i 180 miliardi di dollari entro il 2025, pari al 5,2% del Pil del continente, per poi salire a 712 miliardi di dollari, l’8,5% del Pil complessivo, prima del 2050”. Pechino ottiene così una via privilegiata per accedere a risorse naturali chiave. Ma l'aspetto economico si intreccia anche con quello politico: l'Africa è destinata a crescere e la Cina può aiutarla a farlo e a ripetere i “miracoli” di cui si è resa protagonista all'interno. “All’apparenza, non si tratterebbe più quindi solo di esportare modelli urbani, piani industriali e tecniche agricole, bensì di trasferire tutta l’impalcatura ideologica che ha permesso al gigante asiatico di crescere tanto rapidamente”. Più Pechino entra in rotta di collisione con Washington e più il messaggio acquisisce un afflato retorico del modello alternativo di sviluppo. Un terzomondismo più pragmatico e multiforme.