Breve Storia della Prostituzione (Coatta)
Regolamentare le prostituzione è la più insopportabile e indegna delle menzogne che l'uomo si racconta da millenni. Codificare il mercimonio coatto equivale a negarne l'irriducibile iniquità
Se nel più antico testo legislativo dell'Umanità (il codice Hammurabi del XVIII secolo avanti Cristo) è regolamentata la prostituzione, è evidente quanto il fenomeno affondi le proprie malefiche radici nella notte dei tempi.
Nell'Egitto dei faraoni le schiave del sesso erano le prigioniere di guerra e, persino il popolo ebraico, fin dagli albori della sua millenaria storia, affidava ai tribunali la gestione economica e sociale dell'attività delle prostitute.
Meretrici, etère, cortigiane, attraverso la civiltà greco e latina fino ad arrivare al Medioevo cristiano e mussulmano, e da lì al Rinascimento e all'età contemporanea, come ricostruisce Vern Leroy Bullough (sessuologo americano, 1928-2006) nel suo saggio "Storia della prostituzione".
L'ingiustizia più radicata nella storia dell'Umanità
Dall'età preistorica la sopraffazione dell'uomo sulla donna e meretricio sono inestricabilmente collegati. Gli studi antropologici individuano la divisione forzata tra sessualità maschile e femminile, già prima del passaggio dalla vita nomade a quella stanziale, avvenuto diecimila anni fa con l'introduzione dell'agricoltura.
Insomma, più che il mestiere più antico del mondo, la prostituzione si configura come l'ingiustizia più radicata nella storia dell'umanità.
Le prime case di tolleranza statali nell'Atene del VI secolo avanti Cristo, all'epoca di Solone (630-560 a.C., politico, giurista, poeta ateniese). Funzionari dello Stato (pornotelones) riscuotevano dal tenutario (pornoboskos) la tassa sulle rendite delle sue dipendenti.
Le prostitute di strada, invece, si riconoscevano per la scritta "akolouthi" (seguimi) sui sandali e un magistrato si occupava del controllo del meretricio.
Mesopotamia
Già nel XVIII secolo a.C., nell'antico regno di Babilonia è stata riconosciuta la necessità di tutelare i diritti di proprietà delle donne, tra cui quelli delle prostitute. Tali disposizioni, che affrontano i diritti di eredità delle donne (riguardanti la dote per le figlie non sposate e i doni ricevuti dal padre), sono stati trovati nel Codice di Hammurabi. Una delle prime forme di prostituzione presenti nel mondo antico è stata la cosiddetta prostituzione sacra, presumibilmente praticata già tra i Sumeri. Nelle fonti pervenuteci (Erodoto e Tucidide) vi sono varie tracce di prostituzione sacra. A Babilonia ogni donna doveva raggiungere, almeno una volta nella sua vita, il santuario di Militta dedicato alla Dea Anahita (o Nana, equivalente ad Afrodite) e qui avervi un rapporto sessuale con uno straniero, come pegno simbolico d'ospitalità.
In tutto l'antico Oriente, in Mesopotamia lungo il Tigri e l'Eufrate, vi erano molti santuari e templi o "case del cielo" (dedicati perlopiù alle divinità dell'amore) dove la prostituzione sacra era una pratica comune. Ciò viene documentato dallo storico greco Erodoto nelle sue Storie. La prima prostituzione babilonese si svolgeva in spazi che erano centro d'attrazione per tutti i viaggiatori.
Una tale tradizione si è conclusa quando l'imperatore Costantino, nel IV secolo dopo Cristo, fece abbattere i templi dedicati alle dee per sostituirli con chiese cristiane.
Bibbia e prostituzione
La prostituzione era comune anche nell'antico Israele, nonostante fosse tacitamente proibita dalla legge ebraica. Nella religione della terra di Canaan una parte significativa degli addetti alla prostituzione sacra all'interno dei templi era di sesso maschile. Solitamente in onore della Dea Astarte era di uso comune anche in Sardegna e in alcune delle culture derivanti dai Fenici. Sotto l'influenza fenicia si è sviluppata in altri porti del Mar Mediterraneo, come Erice in Sicilia, Locri Epizefiri, Crotone, Rossano di Vaglio, e Sicca Veneria, fino a giungere all'Asia Minore, in Lydia, Siria e tra il popolo degli Etruschi.
La Sacra Bibbia contiene indicazioni al riguardo, fornendo rappresentazioni della prostituzione praticata nella società del tempo. Nel libro della Genesi al capitolo 38 viene narrata la storia di Giuda e Tamar. La prostituta esercita il proprio commercio ai bordi di una strada, in attesa dei viaggiatori di passaggio, coprendosi il volto (e ciò la segna come prostituta). Viene pagata in natura, chiedendo una capra in cambio. Un prezzo piuttosto elevato in una società dedita quasi esclusivamente alla pastorizia, un costo che solamente i ricchi proprietari di numerose mandrie avrebbero potuto permettersi di pagare per un singolo incontro sessuale. Se il viaggiatore non portava con sé il proprio bestiame, avrebbe dovuto dare alcuni oggetti di valore in deposito alla donna, fino a quando l'animale pattuito non le fosse stato consegnato.
Anche se in questa storia la donna non era una vera prostituta, bensì una vedova, ella aveva le sue buone ragioni per cercar d'ingannare Giuda (figlio di Giacobbe e suo suocero) e rimanere incinta di lui. Tamar riesce ad impersonare benissimo il ruolo ed il suo comportamento può esser considerato come quello reale effettivo che ci si sarebbe attesi da un'autentica prostituta nella società del tempo.
Un'altra storia biblica, più tarda, presente nel libro di Giosuè, narra di una prostituta di Gerico di nome Rahab la quale aiuta le spie israelite intrufolatesi in città, grazie alla conoscenza della situazione socio-culturale e militare datale dalla popolarità che gode tra i nobili di alto rango. Le spie, in cambio d'informazioni, le promettono di salvare la vita a lei e alla sua famiglia durante l'invasione militare che era stata pianificata. Un segno lasciato davanti alla casa avrebbe indicato ai soldati di non far irruzione. Dopo la conquista della città la donna lasciò la professione, si convertì all'ebraismo e sposò un membro di spicco del popolo.
Nel libro dell'Apocalisse la grande meretrice di Babilonia è "Babilonia la Grande, madre delle prostitute e di tutte le abominazioni della Terra" (qui la parola prostituta può anche esser tradotta come persona dedita all'idolatria). Alcune antiche pergamene suggeriscono che il significato del nome del luogo ove s'esercitava la prostituzione babilonese era simile alla parola ebraica che significa "libero". Ciò indicherebbe che i maschi avrebbero dovuto offrire loro stessi per poter riacquistare la libertà.
I "Lupanari" dell'Antica Roma
Nella Roma delle origini le prostitute si tingevano i capelli di rosso, indossavano la tunica invece della stola e ululavano come i lupi alla luna per attirare i loro clienti, per questo erano chiamate lupe (oltreché meretrici, da mercere, guadagnare) e i lupanari erano i bordelli dell'epoca.
Altri loro nomi erano, fornicatrices (da fornix, arco) perché adescavano sotto i ponti, ambulatrices (passeggiatrici) perché adescavano per strada, e lenoctilucae (lucciole) perché uscivano di notte. Le prostitute erano di proprietà dei padroni di schiavi (lenones).
Per Catone il censore "è nei lupanari che i giovani devono soddisfare i loro ardori, pittosto che attaccarsi alle donne sposate", e un Tribunale sorvegliava 32.000 prostitute.
Medioevo
Il Gesù descritto nei Vangeli ha un atteggiamento molto personale nei confronti delle prostitute. Non solo le tratta gentilmente, ma fa di loro addirittura un esempio di fede. "In verità vi dico, i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli" (Matteo 21.31). Nel cristianesimo delle origini la prostituta è colpevole di un grave errore morale, ma può essere salvata dalla fede: "... neanche io ti condanno. Và e non peccare più. La tua fede ti ha salvata". Durante il Medioevo, la prostituzione si poteva comunemente ritrovare nei contesti urbani. Anche se tutte le forme di attività sessuale al di fuori del matrimonio erano considerati peccaminosi dalla Chiesa Cattolica Romana, la prostituzione era di fatto tollerata (seppur in maniera riluttante) perché si riteneva evitasse mali maggiori come lo stupro, la sodomia e la masturbazione. Nonostante ciò erano molti i canonisti che premevano ed esortavano le prostitute a convertirsi e cambiare vita.
Molti governi cittadini stabilirono che le prostitute non dovessero esercitare il loro mestiere all'interno delle mura cittadine, ma solamente al di fuori della giurisdizione comunale. In varie regioni francesi, tedesche e inglesi si adibirono certe strade come aree in cui la prostituzione era consentita. Il toponimo Gropecunt Lane, diffuso in epoca medievale in molte città inglesi e in alcuni casi conservatosi sino ad oggi, stava proprio ad indicare una strada in cui la prostituzione era consentita. A Londra i bordelli di Southwark erano di proprietà del vescovo di Winchester.
In seguito divenne pratica comune nelle grandi città dell'Europa del Sud di istituire bordelli sotto il controllo delle autorità, vietando al contempo qualsiasi forma di prostituzione svolta al di fuori di tali locali. L'atteggiamento a cui ci si atteneva maggiormente in gran parte dell'Europa del nord era invece quello del laissez faire (lascia fare). La prostituzione trovò infine un mercato molto fruttuoso durante tutto il periodo delle Crociate.
Le prime limitazioni
Nel Medioevo le meretrici si spostavano secondo il calendario delle fiere e mercati oppure accompagnavano gli eserciti in guerra.
Il re degli Ostrogoti, Teodorico, cercò, attraverso pene severe, di limitare lo sfruttamento della prostituzione condannando a morte chi, in casa propria tratteneva le donne per mettere in commercio il loro corpo.
Il re Franchi, Carlo Magno, primo imperatore del Sacro Romano Impero, decretò che fosse impressa in fronte, con un ferro rovente, la condizione di prostituta.
Il dilagare della sifilide, considerata un castigo divino, e la moralizzazione promossa da Riforma e Controriforma, portarono alla chiusura dei postriboli, nel tentativo di confinare le prostitute in quartieri-ghetto, nonché a gravose imposizioni fiscali sul meretricio.
In epoca moderna è stato Napoleone a regolamentare e mettere sotto il controllo dello Stato le case di tolleranza, mentre, solo nel 1904, si è arrivati al primo accordo internazionale contro lo sfruttamento della prostituzione e, nel 1910, alla convenzione per la repressione della "tratta delle bianche".
Nel mondo mussulmano
Nel VII secolo il profeta Maometto dichiarò la prostituzione vietata in ogni caso, considerandola un grave peccato (Sahih al-Bukhari). Ma nonostante questo la schiavitù sessuale è molto comune durante la tratta araba degli schiavi, durante tutta l'epoca medioevale e prima dell'età moderna, in cui donne e ragazze africane, caucasiche, dell'Asia centrale ed europee sono state catturate e costrette a servire come concubine all'interno degli harem dei signori arabi. Ibn Battuta (XIV secolo, viaggiatore, storico e giurista islamico, è considerato uno dei più grandi viaggiatori di tutti i tempi) dice più volte d'aver acquistato delle schiave-concubine durante i suoi viaggi. Secondo i musulmani sciiti il profeta sancì l'istituto del matrimonio a tempo determinato, chiamato mut'a in Iraq e sigheh in Iran, ma ciò è stato invece utilizzato spesso come copertura per legittimare le lavoratrici del sesso in una cultura in cui la prostituzione è altrimenti severamente proibita in quanto peccaminosa. I sunniti, che costituiscono la maggioranza dei musulmani in tutto il mondo, ritengono che la pratica del matrimonio temporaneo sia stata abrogata ed infine vietata da uno dei successori di Maometto, il profeta Umar.Il male minore
Nell'epoca rinascimentale e poi nell'età dei lumi la prostituzione femminile era autorizzata in quanto non metteva a repentaglio la famiglia, né il passaggio in eredità dei beni. Uno "sfogatoio" sociale al quale indirizzare le giovani sterili o del tutto prive di mezzi di sostentamento e le vedove senza protezione. Ancora oggi, un aspetto particolarmente ripugnante del mercimonio coatto è l'ipocrisia di descrivere il fenomeno come un "male minore" per la società, quasi si trattasse di una valvola di sfogo per stemperare il tasso collettivo di aggressività ed evitare danni peggiori al bene comune. Una tentazione alla quale non sono immuni nemmeno alcuni uomini di Chiesa. Alcuni anni fa, prima un parroco piemontese (per "liberare le strade dalla prostituzione che ineliminabile"), poi un vescovo portoghese (per "limitare la diffusione dell'Aids") arrivarono a chiedere di riaprire le case chiuse, e dovette intervenire "L'Osservatore Romano", con un articolo di padre Gino Concetti, per ribadire che la riapertura dei bordelli è "un metodo già rifiutato dalla coscienza e dalla cultura civile".Più che il mestiere più antico del mondo, la prostituzione coatta si configura come l'ingiustizia più radicata nella storia dell'Umanità
