Faith, in Nigeria l'avevano condannata a morte
Faith,
in Nigeria l'avevano condannata a morte
"Storie Vere"
Nel 2007 Faith, con l'aiuto dei fratelli, fugge dal carcere e riesce ad arrivare in Italia. Aveva ucciso il suo datore di lavoro dopo che l'uomo l'aveva violentata e seviziata
Nel 2007 Faith, con l'aiuto dei fratelli, fugge dal carcere e riesce ad arrivare in Italia. Aveva ucciso il suo datore di lavoro dopo che l'uomo l'aveva violentata e seviziata
Faith
Aworo, nigeriana, nel 2010 aveva 23 anni
Nel 2007 Faith Aworo fugge
dal suo Paese, la Nigeria. Aveva ucciso il suo datore di lavoro dopo
che l'uomo l'aveva violentata e seviziata.
Dopo due anni di
reclusione in un carcere islamico nel nord della Nigeria, riesce a
fuggire con l'aiuto dei fratelli e quindi decide di espatriare.
Dopo la sua fuga i familiari dell'uomo ucciso chiedono quindi l'applicazione della sharia islamica e così Faith viene condannata a morte tramite impiccagione.
Per fuggire dalla Nigeria si affida ai trafficanti di uomini che la conducono in Italia, dove per due anni viene costretta a prostituirsi nelle periferie di Bologna. In ogni caso per lei l’Italia è il suo “rifugio” anche se non legale, sempre meglio che morire in Nigeria.
Faith è alla disperata ricerca di una regolarizzazione perché sa che se dovesse tornare in Nigeria l'aspetterebbe la pena di morte.
Faith non sa che, con la sua condanna, avrebbe potuto ottenere asilo politico o un permesso per protezione sociale, nessuno l'ha mai informata di questa possibilità. Non conosce l'italiano, è una ragazza poco istruita e soprattutto è molto diffidente con tutti. Nella sua condizione di schiava sessuale vive nella paura e gli unici contatti che ha con gli italiani è solo il tempo per un rapporto sessuale a pagamento.
Poi il destino le riserva la beffa più crudele. A Bologna, dove vive e "lavora", sfugge ad un altro tentativo di stupro da parte di un suo connazionale grazie ad alcuni vicini che, sentendo le sue urla, chiamano le forze dell’ordine.
L'uomo viene portato in carcere, mentre lei finisce nel Centro di identificazione ed espulsione di Bologna. Faith ha già due decreti di espulsione a suo carico non eseguiti, e così il 20 luglio 2010 viene accompagnata su un aereo per Lagos. Il decreto della sua definitiva espulsione dall'Italia era stato firmato direttamente dall'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni.
La sua espulsione è stata decretata in tempi anomali, insolitamente rapidi. Quando Faith ha saputo di dover tornare in Nigeria ha raccontato la sua storia ad un'assistente sociale del CIE di Bologna. Le autorità competenti, compreso il ministero dell'Interno, hanno creduto che fosse un tentativo per ritardare l'espulsione coatta e quindi non hanno fatto nulla per fermare l'iter che l'ha poi riportata effettivamente in Nigeria.
Quando la storia di Faith è stata verificata purtroppo era troppo tardi, Faith era già stata presa in consegna dalle autorità di polizia nigeriane.
Di Faith Aworo nessuno ha mai più saputo nulla, a nulla sono serviti gli appelli nel tentativo di salvarle almeno la vita. È quasi certo che la sentenza di morte che pendeva sulla sua testa sia stata effettivamente eseguita.
In questo caso lo Stato Italiano non rispettò la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che essa stessa ha sottoscritto e che recita all’art. 19 “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”
Non solo, secondo l’articolo 10 della Costituzione, la Repubblica Italiana deve conformarsi alle norme del diritto internazionale, e non può essere estradato lo straniero che, nel suo paese di origine, sia stato condannato alla pena di morte.
Secondo un rapporto di Amnesty International, in Nigeria furono eseguite ben 58 esecuzioni capitali solo nel corso di quell'anno, l'anno del suo rimpatrio, il 2010.
Dopo la sua fuga i familiari dell'uomo ucciso chiedono quindi l'applicazione della sharia islamica e così Faith viene condannata a morte tramite impiccagione.
Per fuggire dalla Nigeria si affida ai trafficanti di uomini che la conducono in Italia, dove per due anni viene costretta a prostituirsi nelle periferie di Bologna. In ogni caso per lei l’Italia è il suo “rifugio” anche se non legale, sempre meglio che morire in Nigeria.
Faith è alla disperata ricerca di una regolarizzazione perché sa che se dovesse tornare in Nigeria l'aspetterebbe la pena di morte.
Faith non sa che, con la sua condanna, avrebbe potuto ottenere asilo politico o un permesso per protezione sociale, nessuno l'ha mai informata di questa possibilità. Non conosce l'italiano, è una ragazza poco istruita e soprattutto è molto diffidente con tutti. Nella sua condizione di schiava sessuale vive nella paura e gli unici contatti che ha con gli italiani è solo il tempo per un rapporto sessuale a pagamento.
Poi il destino le riserva la beffa più crudele. A Bologna, dove vive e "lavora", sfugge ad un altro tentativo di stupro da parte di un suo connazionale grazie ad alcuni vicini che, sentendo le sue urla, chiamano le forze dell’ordine.
L'uomo viene portato in carcere, mentre lei finisce nel Centro di identificazione ed espulsione di Bologna. Faith ha già due decreti di espulsione a suo carico non eseguiti, e così il 20 luglio 2010 viene accompagnata su un aereo per Lagos. Il decreto della sua definitiva espulsione dall'Italia era stato firmato direttamente dall'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni.
La sua espulsione è stata decretata in tempi anomali, insolitamente rapidi. Quando Faith ha saputo di dover tornare in Nigeria ha raccontato la sua storia ad un'assistente sociale del CIE di Bologna. Le autorità competenti, compreso il ministero dell'Interno, hanno creduto che fosse un tentativo per ritardare l'espulsione coatta e quindi non hanno fatto nulla per fermare l'iter che l'ha poi riportata effettivamente in Nigeria.
Quando la storia di Faith è stata verificata purtroppo era troppo tardi, Faith era già stata presa in consegna dalle autorità di polizia nigeriane.
Di Faith Aworo nessuno ha mai più saputo nulla, a nulla sono serviti gli appelli nel tentativo di salvarle almeno la vita. È quasi certo che la sentenza di morte che pendeva sulla sua testa sia stata effettivamente eseguita.
In questo caso lo Stato Italiano non rispettò la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che essa stessa ha sottoscritto e che recita all’art. 19 “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”
Non solo, secondo l’articolo 10 della Costituzione, la Repubblica Italiana deve conformarsi alle norme del diritto internazionale, e non può essere estradato lo straniero che, nel suo paese di origine, sia stato condannato alla pena di morte.
Secondo un rapporto di Amnesty International, in Nigeria furono eseguite ben 58 esecuzioni capitali solo nel corso di quell'anno, l'anno del suo rimpatrio, il 2010.
Se fosse affermata
univocamente e in modo concreto la supremazia di Diritti
dell’Uomo su qualsiasi ordinamento giuridico e su qualsiasi
questione di diplomazia internazionale, 42 milioni di Rifugiati nel
mondo, non sarebbero costretti ad abbandonare le proprie terre
d’origine
Articolo
a cura di
Maris Davis
Maris Davis