Togo e Benin, i fortini di fango dei Tamberma
Castelli d'argilla. Al confine tra Togo e Benin vivono i Tamberma, un popolo di abili costruttori e di geniali architetti. Le loro case-fortezza, simili a piccoli castelli, rappresentano uno dei più begli esempi d'architettura tradizionale africana.
Solo pochi anni fa questa
regione, situata
a ridosso della catena montuosa dell'Atakora, al confine
tra il Togo e il Benin, era pressoché isolata. I suoi
abitanti, i Tamberma, avevano rapporti sporadici
con le altre popolazioni, al punto che non si facevano problemi nel
girare completamente nudi (gli uomini usavano un astuccio
penico, per riparare i genitali, ricavato da una zucca allungata).
Oggi i Tamberma vestono pantaloni, gonne e t-shirt, indumenti lasciati
in genere dai visitatori stranieri che giungono fin qui armati di
macchine fotografiche.
Poesia di argilla e paglia
Ad
attrarre le comitive di turisti sono le tipiche abitazioni dei
Tamberma, conosciute col nome di "Tata",
ma il termine corretto sarebbe
"Tékyèté", che sono stupefacenti case
fortificate, costruite con molta terra e poco legno, del tutto simili
ai castelli delle fiabe.
Le abitazioni sono sparse sul territorio, tra i campi e la
boscaglia, in maniera apparentemente disordinata. In realtà
la loro collocazione risponde a precisi schemi ed equilibri sociali.
Nella comunità dei Tamberma vige la poligamia, ciascuna
delle mogli ha una propria casa, dove vive insieme ai suoi figli. Le
abitazioni, distanti tra loro alcune centinaia di metri, formano quello
che gli antropologi chiamano "habitat a nebulosa",
ossia uno spazio vitale disperso su un'area molto ampia, che consente
alle famiglie di coltivare (e utilizzare per scopi rituali)
le zone adiacenti le abitazioni.
Le Tata
(le case) sono semi-nascoste dai baobab e dalle grosse piante di mango.
A vederle da lontano paiono pittoreschi castelli in miniatura, in alto
svettano torri cilindriche collegate da grandi mura interrotte da una
sola porta che dà sull'esterno. Le dimensioni non sono
affatto imponenti, circa 10 metri di diametro per 4 di altezza, la
struttura pare raccolta su se stessa, ma le forme e le proporzioni
danno l'idea di un progetto armonioso, concepito con leggerezza ed
eleganza.
I segreti del castello
Le Tata (questa parola in lingua locale significa "fortezze") sono uno straordinario esempio di architettura tradizionale, raffinata e funzionale al tempo stesso, che ha saputo sopravvivere nei secoli. Concepite per rifugiarsi in caso di pericolo, queste case-castello rappresentarono per lungo tempo un'efficace protezione contro gli attacchi delle tribù vicine e, alla fine del XIX secolo, contro l'invasore tedesco.
Le finestre sono inesistenti e solo piccole fessure, un tempo usate per tirare le frecce ai nemici, permettono di osservare dal di dentro il paesaggio che circonda l'abitazione. All'entrata c'è un altare di terra a forma fallica su cui si sacrificano periodicamente i polli (i Tamberma sono animisti e hanno mantenute intatte gran parte delle tradizioni legate al culto), appesi alle pareti o al soffitto si possono trovare ossa e crani di animali. Si tratta di amuleti destinati a proteggere la famiglia.
La struttura abitativa si sviluppa su due piani. Al pianterreno c'è il rifugio notturno per gli animali, galline, vacche o capre, e un piccolo magazzino. Per una scala interna si accede alla cucina e poi a una grande terrazza, costruita con tronchi ricoperti di terriccio, sulla quale si fanno seccare le granaglie e si trascorre la maggior parte del tempo libero.
Le
torri, sovrastate da piccoli tetti conici di paglia, sono usate come
magazzini per il mais e il miglio, mentre le altre stanze sono usate
per dormire e, durante la stagione delle piogge, per cucinare.
La costruzione di una "Tata" richiede lungo tempo, molto impegno e grande maestria. Solo un popolo di abili e infaticabili costruttori poteva concepire delle abitazioni fatte di bancò (un impasto di argilla, acqua e paglia) tanto elaborate e ardimentose. Solo un popolo di geniali architetti poteva progettare una struttura difensiva, al tempo stesso semplice, sicura e funzionale.
I Tamberma, che chiamano se stessi "betammari-be", ovvero "coloro che sanno costruire", svolgono tutti i lavori a mani nude impiegando solo materiali come terriccio, legno e paglia (usata come legante). Con le dita delle mani lasciano sulle pareti impronte destinate a diventare delle vere e proprie decorazioni.
I compiti durante l'edificazione sono ben distinti. Gli uomini devono costruire fisicamente i muri, mentre le donne hanno l'onere di sobbarcarsi i lavori più duri, come recuperare la terra e l'acqua. Saranno loro, le donne, le future regine del castello, ad occuparsi, quando la costruzione sarà terminata, della manutenzione della Tata. Provvederanno a rinforzare i muri bagnandoli con il burro di karité o il succo di néré (un frutto della foresta), che secondo i Tamberma hanno proprietà collanti e impermeabilizzanti.
E prima della stagione delle piogge, si occuperanno di ristrutturare le pareti esterne, tappando le crepe con una mistura di terra e di sterco di vacca. A costruzione ultimata, gli uomini torneranno invece ad occuparsi assieme ai figli dei campi e della caccia.
La tradizione impone al giovane tamberma in procinto di lasciare la famiglia di nascita per formare il proprio nucleo famigliare, di lanciare una freccia. Il punto in cui questa cadrà sarà il luogo dove costruirà la sua nuova Tata.
Per chi volesse visitare i Tamberma.
La popolazione tamberma abita le propaggini sudoccidentali della catena dell'Atakora, a cavallo del confine tra il Togo e il Benin. Per visitare questa regione è necessario raggiungere le città di Kanté (in Togo) oppure di Boukoumbé (in Benin). Adesso anche i Tamberma si sono "occidentalizzati" e ai turisti che vogliono fotografare una di queste costruzioni, e necessario chiedere il permesso al proprietario e lasciare in dono "qualcosa" (una maglietta, un cappellino, un paio di scarpe, insomma un piccolo gadget).
Il periodo migliore per visitare queste zone va da novembre a febbraio (durante la stagione secca). La regione è interessata dal clima umido del Golfo di Guinea.
Gli amuleti.
Le case del popolo Tamberma, simili a piccoli castelli, sono uno degli esempi più belli di architettura tradizionale africana. Appesi alle pareti ci sono amuleti destinati a proteggere la famiglia.
Tradizioni che cambiano.
Fino ad una trentina di anni fa i Tamberma vivevano completamente nudi. Solo gli uomini usavano un astuccio penico, ricavato da una zucca allungata, per riparare i genitali. All'indomani dell'indipendenza del Togo, il Governo impose ai Tamberma di vestirsi. Distribuì nei villaggi reggiseni e vistose bermuda, emanando un'ordinanza di obbligo d'indossarli.